Gli effetti della meditazione

Gli effetti della meditazione

In ambito clinico, accanto alle terapie convenzionali, oggi più che mai si stanno affiancando da un lato le terapie complementari, dall’altro quelle alternative.
La meditazione rientra proprio nelle terapie complementari, pratiche finalizzate alla prevenzione, al trattamento delle malattie o alla promozione della salute. La meditazione può essere definita come uno stato di puro benessere, di consapevolezza, di osservazione e di attenzione. È una condizione non tanto da raggiungere, quanto da riconoscere; una condizione mentale di quiete, di unità. Si basa su un’osservazione silente, senza filtri, priva di pregiudizi. La sua pratica non resta circoscritta a momento specifico della meditazione, ma si estende al resto dell’esistenza quotidiana al punto da favorire un profondo mutamento del proprio essere nel mondo. Mediante la meditazione il soggetto viene invitato a focalizzarsi sulla respirazione anche per favorire la concentrazione. Esistono vari tipi di meditazione, ognuna con caratteristiche specifiche, modi di azione a livello fisico, psichico e psicologico. Esse sono accomunate dal fatto di comportare un addestramento volontario da parte della persona della propria attenzione e consapevolezza. Gradualmente, nel tempo, la meditazione è stata impiegata anche in ambito clinico. In questo senso, non solo offre una possibilità per ridurre le sofferenze , ma rappresenta un modo per rafforzare anche l’autostima del paziente. Questa attenzione per la meditazione si inserisce in un contesto in cui si sta passando da un modello biomedico a un modello biopsicosociale in cui l’individuo viene considerato in senso olistico, come unità di corpo e mente e su cui influiscono anche i fattori del contesto sociale in cui vive.
Ricerche asseriscono che la meditazione è in grado di ridurre indurre vere e proprie modifiche a livello neurocerebrale andando a modulare la corteccia cerebrale. La pratica della meditazione è in grado di favorire l’esecuzione di compiti mnemonici, favorisce inoltre il ricordo libero degli eventi.
La meditazione può ridurre i rischi cardiaci e i rischi di altri disturbi cronici (pressione sanguigna, stress psicologico ecc.). Essa può anche fungere da supporto in un approccio psicoterapeutico.

La pratica costante della meditazione è anche in grado di rafforzare il sistema immunitario nelle persone sane in un ambiente lavorativo e di accentuare i vissuti emotivi positivi. Essa favorisce le quiete mentale, il senso di gratitudine e la riduzione delle preoccupazioni.

Il conflitto

Il conflitto

Il conflitto può essere definito come “una situazione in cui forze, di valore approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto, agiscono simultaneamente sull’individuo”; o anche “la reciproca interferenza di reazioni incompatibili.”

Il conflitto può far riferimento alla presenza di tendenze coesistenti rivolte ad almeno due forme differenti di comportamento. È possibile distinguere le tendenze appetitive o attrazione ovvero le tendenze rivolte al raggiungimento di un obiettivo, e le tendenze avversative o avversione ovvero quelle rivolte ad evitare eventi indesiderabili. Tali teorie fanno parte della teoria del campo di Lewin.

La teoria del campo applica al comportamento interpersonale e al concetto di personalità i principi gestaltici della percezione. Il concetto di “campo” è inteso quale totalità di fenomeni psicologici che agiscono in reciproca interdipendenza di influssi; l’individui dunque si colloca al centro di un campo di forza ambientali che li modificano e che, grazie a lui, si modificano. Tale teoria ha trovato applicazione proprio nella psicologia sociale, riuscendo a offrire una fortunata ed esauriente spiegazione sulle dinamiche che intercorrono all’interno di un gruppo.

Per Lewin si ha conflitto quando una persona è costretta a scegliere fra obiettivi o corsi d’azione incompatibili, contraddittori o mutatamene esclusivi cioè quando l’azione necessaria a raggiungere l’uno impedisce automaticamente alla persona di raggiungere l’altro.“Una situazione in cui le forze di valore approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto, agiscono simultaneamente sull’individuo” .

Secondo la teoria del campo si prospettano 4 possibilità di conflitto:

  • Conflitto fra due tendenze appetitive in cui il soggetto di fronte a due obiettivi raggiungibili deve necessariamente sceglierne uno scartando l’altro. Non viene considerato un vero e proprio conflitto, ma piuttosto una condizione di scelta.
  • Conflitto fra una tendenza appetitiva e una tendenza avversativa in cui si contrappongono desideri razionali e ostacoli emotivi quindi alcuni elementi spingono in una direzione e altri in quella opposta. Le decisioni risultano difficili poiché si innesca un meccanismo di attrazione e repulsione con momenti alterni di prevalenza dell’uno rispetto all’altro.
  • Conflitto fra due tendenze avversative in cui il soggetto è posto di fronte a una scelta riguardo due opportunità negative. Si ha la tendenza a scegliere l’opportunità meno scoraggiante.
  • Conflitto composto fra più tendenze appetitive ed avversative(doppia situazione di attrazione – avversione) che si verifica in molte situazioni della vita di tutti i giorni, è il caso in cui oggetti o situazioni evocano contemporaneamente situazioni di avversione e attrazione. Una classica situazione è quella in cui ad un individuo che svolge una determinata attività professionale viene proposta un’altra attività. Entrambe le professioni hanno caratteristiche sia attraenti che negative, se le caratteristiche attraenti o quelle repellenti di ciascun lavoro sono uguali vi sarà una situazione di conflitto.

Spesso a suscitare il conflitto non è un oggetto o un’attività, quanto un modello di comportamento, che si sintetizza, in questo caso, nel concetto di “ruolo”.

Il conflitto nasce quando un individuo viene ad occupare, simultaneamente, due posizioni differenti, che prescrivono atteggiamenti diversi, oppure quando le attese di persone o gruppi diversi, relativi ad una stessa posizione, discordano nettamente.

L’adolescenza è l’es. tipico di conflitto, in quanto il soggetto è già uscito dall’infanzia e non ha ancora raggiunto l’età adulta, si sente attirato dall’idea di essere un adulto indipendente e carico di prestigio, ma anche dal desiderio di restare legato al ruolo del bambino, protetto e sicuro.

Se una persona appartiene allo stesso tempo a due gruppi sociali diversi della stessa categoria (età, nazionalità, razza), gli si presenteranno, in ogni situazione, due tipi diversi di comportamento suggeriti da ognuno dei due gruppi ed il soggetto di troverà in una situazione permanente di conflitto. Questa situazione può essere grave perché non si tratta di un conflitto casuale e passeggero, ma costante per l’individuo, il quale ha interiorizzato due serie di ruoli paralleli per ogni situazione; oppure perché entrambi questi gruppi, di cui fa parte, hanno una grande influenza sulla formazione della personalità.

Ci sono varie possibilità di uscire da questo conflitto:

  • con un’intensa valorizzazione della cultura d’origine, che si manifesta con nazionalismo e rifiuto di ogni nuovo ruolo, dovuto spesso ad un’incapacità di adattamento al nuovo gruppo;
  • con l’assunzione di un ruolo intermedio che permetta di conciliare le due culture;
  • con un buon adattamento alla nuova cultura che va di pari passo con il rifiuto del gruppo d’origine.

L’individuo si perderebbe tra questi conflitti se non avesse, a sua disposizione, dei meccanismi adeguati che gli permettano di risolverli.

A livello personale operano numerosi meccanismi:

  • la separazione, che consiste nel tentare di separare, sia nel tempo sia nello spazio, i due ruoli in conflitto, ad es. evitando la sovrapposizione dei ruoli, assumendoli nel tempo e negli spazi separati, il conflitto viene risolto distaccandosi da un ruolo ritenuto riprovevole, quello ritenuto meno importante, ma questa decisione di mettere da parte un ruolo si rivela dannosa per l’individuo, potendo generare dei forti sentimenti di frustrazione;
  • il compromesso, consistente nel rimandare l’azione ed attendere che uno dei due gruppi o entrambi attenuino le loro esigenze, oppure ristrutturare il ruolo stesso al fine di adattare questa nuova definizione ad ognuno dei due gruppi, infine un’altra strategia è quella di utilizzare un ruolo contro l’altro, indicando ad ogni gruppo le esigenze incompatibili che gli vengono imposte dall’altro in modo da spingere le due parti ad attenuare le proprie richieste;
  • la fuga, consistente nell’uscita del soggetto da entrambi i ruoli, come la fuga dal campo, in cui l’individuo va in un altro ambiente sociale e si allontana dai gruppi che generano conflitto, la fuga nella malattia, che avviene inconsciamente

Molti psicologi sociali ritengono che le persone abbiano un bisogno fondamentale di congruenza cognitiva, ovvero di coerenza logica tra le proprie convinzioni ed idee. Secondo Festinger (1957) quando un individuo ha due rappresentazioni cognitive (idee sul mondo) coerenti l’una con l’altra, egli si trova in uno stato interno di equilibrio, che l’autore chiama di consonanza.

Quando invece due o più rappresentazioni cognitive non sono tra loro coerenti, perché una implica l’opposto dell’altra, si produce dissonanza. Festinger sosteneva che esiste una motivazione fondamentale che spinge l’individuo a ridurre gli stati di dissonanza, che sarebbero per natura destabilizzanti.

Più la rappresentazione cognitiva è importante e più la dissonanza è destabilizzante. E più è critica la dissonanza più è forte la motivazione dell’individuo a ridurla. Quello della dissonanza cognitiva è uno dei concetti elaborato da Festinger definendola come la condizione di individui le cui credenze, nozioni, opinioni contrastano tra loro (dissonanza per “incoerenze logica”), o con le tendenze del comportamento (“dissonanza per “l’esperienza passata”), o con l’ambiente in cui l’individuo si trova ad operare (dissonanza per “costumi culturali”).

Il Disturbo di Panico

Il Disturbo di Panico

Il Disturbo di Panico è caratterizzato dal ricorrere di stati d’ansia acuti, ad insorgenza improvvisa, cioè in assenza di fattori scatenanti immediatamente evidenti, e di breve durata, da pochi secondi ad alcuni minuti fino ad un massimo di mezz’ora, un’ora.

L’esperienza del panico si accompagna generalmente a senso di impotenza, mancanza di controllo, paura, sentimento di minaccia per la propria integrità fisica e psichica, sentimenti di morte imminente ed è spesso seguita da astenia, sensazione di “testa confusa”. Ogni attacco può provocare una preoccupazione sempre maggiore, chiamata ansia anticipatoria, che può aumentare fino a colmare le ore o le giornate che separano un attacco da un altro.

Il panico è aumentato vertiginosamente e, in particolare, il numero di donne che ne soffre. Oggi, in Italia è un problema comune a circa un milione e ottocentomila persone, di cui un milione e duecentomila sono donne tra i 25 e i 40 anni.

Al primo posto fra le cause troviamo l’aumento dello stress psicosociale in ogni ambito della vita, sia pubblico che privato. La struttura sociale della vita è più complessa; ciascuno di noi inevitabilmente è esposto ad un sistema più competitivo e conflittuale. La realtà, inoltre, è cambiata e continua a cambiare sotto il nostro naso troppo velocemente, senza darci il tempo di trovare solidi punti di riferimento interiori che ci consentano di affrontare tali cambiamenti.

L’odierna realtà familiare, sempre più contraddistinta da divisioni e tensioni, non fa che complicare le cose. Altro aspetto importante è la definizione della personalità e il rapporto con le emozioni, aspetti che devono permettere di costruire processi di differenziazione e integrazione del Sé. Secondo le teorie recenti, il Sé costituisce il principio integrativo che consente un vissuto permanente ed unitario della propria persona e che permette all’individuo di attraversare i cambiamenti del tempo, nello spazio e nei ruoli.

Di fondamentale importanza risulta, pertanto, la capacità di gestire stress psicosociale e attacchi di panico per potervi rispondere in maniera adeguata, nonché la capacità di chiedere aiuto rivolgendosi ad un professionista nel settore in grado di sostenere l’individuo durante il percorso di apprendimento di tale capacità.

Ansia e stress: cosa sono e come curarli

Ansia e stress: cosa sono e come curarli

Ansia

Per ansia oggi si intende l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia e da sintomi fisici di tensione.

Nella società moderna l’ansia è parte integrante delle nostre vite. Ogni giorno affrontiamo nuovi rischi, pericoli e malattie, per non parlare dei problemi economici che gravano sulle famiglie e sulle nuove generazioni.

In un sistema che si evolve tanto rapidamente le aspettative che gravano sui singoli individui possono essere difficili da gestire, e possono, dunque, provocare ansia.

Tuttavia l’ansia non deve sempre essere considerata come qualcosa di anormale, bensì come un’emozione basilare che attiva l’organismo in risposta ad una situazione che viene soggettivamente percepita come pericolosa.

L’ansia si traduce, dunque, in un’esplorazione dell’ambiente alla ricerca di soluzioni, nonché in una serie di risposte neurovegetative come l’aumento del battito cardiaco, della sudorazione e della frequenza respiratoria. Tali risposte avvengono nel momento in cui l’organismo suppone di aver bisogno del massimo della forza e dell’energia per poter rispondere alla situazione considerata di pericolo. È chiaro, quindi, come l’ansia possa rivelarsi un’importante risorsa.

Diviene invece un disturbo emotivo spiacevole quando lo stato di allarme e paura è “esagerato” rispetto ai reali pericoli o se i pericoli non ci sono affatto. In questo caso l’ansia non è adattiva, ma diventa un problema che può rendere la persona incapace di controllare le proprie emozioni e di affrontare anche le situazioni più semplici. L’ansia è un’emozione che può aumentare a seguito di eventi dolorosi o conflitti. Possiamo cercare di eluderla attraverso i nostri comportamenti, minimizzandola per non esserne sopraffatti. Tuttavia una forte ansia può essere estenuante e provocare sfinimento. L’ansia può, quindi, essere distinta in ansia “buona” e ansia “cattiva”.

L’accezione positiva si riferisce all’ansia come sempre presente, anche se in maniera più o meno sfumata, nella nostra vita quotidiana, che si fa sentire in maniera più o meno lieve per avvertirci che qualcosa non va in svariate situazioni. L’esperienza ansiosa è, quindi, normale e funzionale quando si presenta come una reazione d’allarme diretta contro uno stimolo reale e conosciuto; questo tipo di reazione provoca uno stato di tensione psicologica che attiva le risorse dell’individuo e potenzia le sue capacità operative finalizzate alla risoluzione del problema. Inoltre, una quota d’ansia limitata può essere incanalata in attività socialmente accettate, come attività artistiche, intellettuali e sociali, e rappresentare per l’individuo una fonte di curiosità e anche di creatività.

L’accezione negativa, invece, pone l’enfasi sulla patologia, in particolare nei casi in cui l’individuo non riesce a trovare soluzioni adattive per fronteggiare situazioni sconosciute o potenzialmente pericolose, in quei casi l’ansia può perdere le sue caratteristiche funzionali. Esistono due condizioni in cui l’ansia diventa patologica:

– Quando la risposta ansiosa è esagerata e disfunzionale rispetto agli stimoli che l’hanno indotta e l’individuo ne è consapevole. Lo stato ansioso si manifesta in maniera costante, disturbando il paziente durante tutto l’arco della giornata con i sintomi già descritti, non è gestibile con il ragionamento nonostante la persona riconosca la natura esagerata della sua reazione.

– Quando lo stato ansioso compare in assenza di uno stimolo scatenante. Lo stato ansioso compare in modo acuto ed è caratterizzato da sensazione di soffocamento, sensazione di sbandamento, paura di morire o di perdere il controllo (attacco di panico). Questi fenomeni sono generalmente ricorrenti, di breve durata, e possono essere inattesi e condizionare la vita dell’individuo per questa loro imprevedibilità.

Quando l’ansia diviene patologica, provoca distorsioni cognitive, come idee ossessive, aspettative catastrofiche ed errori di attribuzione e causa la sovrastimolazione del sistema nervoso e degli organi ad esso collegati. Assume inoltre caratteristiche autoinvalidanti, tramite le quali l’individuo perpetua comportamenti disadattivi per lunghi periodi di tempo, spesso giudicati dal soggetto stesso come irrazionali e inadeguati.

Classificazione dei disturbi d’ansia

La categoria dei disturbi d’ansia comprende una varietà di disturbi diversi fra loro. Si possono quindi distinguere due tipi di ansia principali:

– L’ansia di stato è concettualizzata come uno stato emozionale caratterizzato da sentimenti soggettivi percepiti a livello cosciente di tensione ed apprensione, e dall’aumentata attività del sistema nervoso autonomo. Può variare nel tempo e fluttuare nel tempo”

– L’ansia di tratto, invece si riferisce alle differenze individuali relativamente stabili, nella disposizione verso l’ansia, cioè a differenze tra le persone nella tendenza a rispondere con elevazioni dell’intensità dell’ansia di stato a situazioni percepite come minacciose.

Secondo il DSM V (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) distingue i seguenti disturbi d’ansia:

Disturbo d’ansia da separazione

https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_d%27ansia_da_separazione

Il disturbo d’ansia da separazione è definita dall’APA (associazione psicologi americani) come la manifestazione inappropriata ed eccessiva di paura e malessere al momento di separarsi da casa o da una specifica figura di riferimento. L’ansia espressa è classificata come atipica rispetto al livello di sviluppo atteso e all’età del soggetto. La gravità dei sintomi varia dal disagio preventivo a veri e propri attacchi di ansia al momento (o anche solo al pensiero) della separazione.

Mutismo selettivo

https://it.wikipedia.org/wiki/Mutismo#Mutismo_selettivo

Il mutismo selettivo è un disturbo dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza e caratterizzato da una persistente incapacità di parlare in certi contesti (per esempio all’asilo o a scuola) nonostante la capacità di parlare in altri contesti sia preservata (per esempio a casa con i genitori). In alcuni casi più gravi il mutismo persiste anche nell’ambiente familiare anche se questi casi sono rari. Esistono molti centri di diagnosi. Colpisce prevalentemente le bambine e si manifesta o all’ingresso della scuola materna o della scuola primaria.

Fobia Specifica

https://it.wikipedia.org/wiki/Fobia_specifica

Una fobia specifica, chiamata anche fobia semplice, è un termine generico per qualsiasi tipo di disturbo caratterizzato da una irrazionale e fortissima risposta di paura in coincidenza con l’esposizione a specifici oggetti o situazioni, nonché una tendenza ad evitare ostinatamente e sistematicamente gli oggetti o le situazioni temute. Il soggetto che ne soffre talvolta non è in grado di rappresentarsi e immaginare le situazioni o le cose temute se non per pochi attimi e può temere anche di nominarle. La paura può essere attivata sia dalla presenza che da tracce che anticipano la presenza dell’oggetto o della situazione che crea disagio.

Disturbo d’ansia sociale

https://it.wikipedia.org/wiki/Fobia_sociale

La fobia sociale è la paura intensa e pervasiva di trovarsi in una particolare situazione sociale, o di eseguire un tipo di prestazione, che non siano, a chi ne è affetto, familiari e da cui possa derivare la possibilità di subire un giudizio altrui. Si tratta di un particolare stato ansioso nel quale il contatto con gli altri è segnato dalla paura di essere malgiudicati e dalla paura di comportarsi in maniera imbarazzante ed umiliante. Le persone affette da questa fobia evitano situazioni spiacevoli, o se sono costrette ad affrontarle sono molto a disagio con loro stesse.

Disturbo di panico

https://it.wikipedia.org/wiki/Attacco_di_panico

Gli attacchi di panico o disturbo da panico sono una classe di disturbi d’ansia, a loro volta i più comuni disturbi psichiatrici, che costituiscono un fenomeno sintomatologico complesso e piuttosto diffuso. Il disturbo di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta ed ha un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Tuttavia, spesso non vengono riconosciuti e di conseguenza non vengono curati. Tra i sintomi principali troviamo: l’accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, tremore, vertigini, senso di morte imminente, nausea ecc. La maggior parte delle persone guarisce senza terapia specifica, mentre una rilevante minoranza sviluppa invece un disturbo da recidiva di attacchi di panico.

Agorafobia

https://it.wikipedia.org/wiki/Agorafobia

L’agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all’aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fuga immediata verso un luogo da lui reputato più sicuro.

Disturbo d’ansia generalizzato

Il soggetto che soffre di Disturbo D’ansia Generalizzato prova un’ansia e una preoccupazione molto elevate, che occupano la maggior parte del suo tempo (durata almeno 6 mesi) e invadono la sua area lavorativa, sociale, affettiva ecc. A differenza di altri disturbi la cui ansia è legata ad un determinato oggetto e/o situazione, qui l’oggetto manca ma sussistono tutti i sintomi fisici tipici dell’ansia

Disturbo d’ansia da condizione medica

http://medicinasiena.it/DSM%20-%20IV/classi/classe06/frte11.htm

La caratteristica essenziale di un Disturbo d’Ansia dovuto ad una Condizione Medica Generale è un’ansia clinicamente significativa che si ritiene dovuta agli effetti fisiologici diretti di una condizione medica generale. I sintomi possono includere sintomi di ansia generalizzata prominenti, Attacchi di Panico oppure ossessioni o compulsioni (Criterio A). Deve esservi evidenza dall’anamnesi, dall’esame obbiettivo dai dati di laboratorio che il disturbo è la conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica generale (Criterio B). Il disturbo non risulta meglio giustificato da un altro disturbo mentale, come un Disturbo dell’Adattamento, con Ansia, nel quale l’evento stressante sia rappresentato dalla condizione medica generale (Criterio C). Non si pone la diagnosi se i sintomi di ansia si manifestano solo durante il corso di un delirium (Criterio D). I sintomi di ansia devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (Criterio E).

Altro disturbo d’ansia specifico

DSM V

Questa categoria si riferisce a quelle condizioni in cui sono presenti i sintomi caratteristici di un disturbo d’ansia che causano un disagio clinicamente significativo o ansia sociale, lavorativa o altre importanti aree di funzionamento predominante ma che non soddisfano totalmente nessuno dei disturbi d’ansia diagnosticabili. Questa categoria viene ripotata dal clinico con “altro disturbo d’ansia specifico” seguito dalla ragione che ha portato al disturbo.

Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

http://www.my-personaltrainer.it/salute/disturbo-ansia.html#4

Vengono inclusi in questo gruppo quei disturbi d’ansia o di evitamento fobico significativi che non rientrano nei criteri di nessuno specifico disturbo d’ansia trattato precedentemente. Un esempio è quello del disturbo ansioso-depressivo misto, caratterizzato da una condizione psichica spiacevole con tristezza, ansia ed irritabilità (umore disforico), che si protrae per almeno un mese, associata a difficoltà di concentrazione, senso di vuoto, alterazioni del sonno, sensazione di affaticamento o scarsa energia, ipervigilanza, preoccupazione, facilità al pianto, tendenza a previsioni negative per il futuro, disperazione, scarsa autostima o sentimenti di disprezzo per sé stessi. Piuttosto comune è anche l’associazione, a questi sintomi, di disturbi gastrointestinali.

Cura

– Le psicoterapie per la cura dell’ansia

Trattamenti psicoanalitici

Per quanto riguarda l’ansia, l’approccio psicoanalitico considera il sintomo non come una malattia ma come una manifestazione esterna risultante da una varietà di fattori che, nell’arco della vita del soggetto, hanno contribuito alla formazione di conflitti e difetti. Nell’ambito della relazione terapeutica il soggetto ansioso può arrivare a comprendere il significato di stati d’animo e comportamenti apparentemente incomprensibili e acquisire consapevolezza dei vantaggi secondari che trae dal suo malessere. Una volta raggiunto un maggior grado di coscienza delle proprie dinamiche interne, può essere utile, per il soggetto ansioso, ricercare delle vie di sublimazione dei propri impulsi che gli consentano di incanalare parte della tensione emotiva in attività e interessi da cui trarre gratificazione.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale

La cura dell’ansia nell’ambito delle psicoterapie cognitivo-comportamentali significa eliminazione o riduzione del sintomo e raggiungimento di un adeguato adattamento dell’individuo all’ambiente utilizzando tecniche comportamentali (come per esempio l’esposizione graduale alla situazione ansiogena) e tecniche di ristrutturazione cognitiva. La terapia di basa sulla costruzione e sul mantenimento di una relazione di fiducia tra paziente e terapeuta in modo da evidenziare al suo interno le stesse emozioni sperimentate e gli stessi schemi disfunzionali applicati nella realtà esterna, come ad esempio, la paura del giudizio altrui ed i conseguenti comportamenti di evitamento. Dopodichè il paziente viene aiutate a controllare i propri stati emotivi e a migliorare le sue capacità di autoaffermazione e le attitudini sociali in modo, così, da poter modificare gli schemi mentali che sono alla base della sintomatologia.

La psicoterapia interpersonale

La psicoterapia interpersonale per la cura dell’ansia si attua lungo un programma terapeutico di breve durata (tra le dodici e le sedici sedute rinnovabili) e si fonda su alcuni principi fondamentali. La spiegazione dei fattori che sono alla base della formazione del carattere ansioso ed al loro riconoscimento da parte del soggetto, successivamente viene esaminato ciò che collega l’insorgere dell’ansia agli eventi vissuti quotidianamente e gli eventi che abitualmente amplificano lo stato ansioso. Spetterà poi al terapeuta aiutare il paziente ad acquisire o migliorare le capacità di gestione della propria ansia e le capacità di autoaffermazione.

La psicoterapia integrata

È un metodo psicoterapeutico proposto da Leigh McCulloug Vaillant, psicologa e direttrice del Programma di Ricerca sulla Psicoterapia della facoltà di medicina di Harvard. Tale tipo di terapia viene praticato anche in Italia. E’ l’approccio comunemente utilizzato, in associazione con tecniche connesse alla psicoterapia interpersonale, al training autogeno e alla meditazione. Questo tipo di psicoterapia, definita integrata poiché basata sulla combinazione di un approccio psicoanalitico e di un approccio psicoeducativo di tipo cognitivo-comportamentale, ha lo scopo di promuovere nel paziente un cambiamento dei tratti disfunzionali del suo carattere. Avendo come obiettivo la cura dell’ansia, per sostenere il paziente nel superamento delle proprie resistenze e nella comprensione e conseguente modifica dei propri meccanismi di difesa e di coping.

La psicoterapia familiare o sistemica per la cura dell’ansia

Nei casi in cui l’aiuto terapeutico per la cura dell’ansia venga richiesto non individualmente bensì da un nucleo familiare, può essere utile il ricorso ad un approccio sistemico, che individua la famiglia come un sistema da cui dipendono gli equilibri che in essa si generano e si mantengono. Secondo questo approccio, l’individuo non può essere isolato dal suo contesto di vita, nell’ambito del quale sviluppa necessariamente diversi tipi di interazioni e relazioni che si ripercuotono su tutti i componenti del gruppo. Se uno o più membri della famiglia sono soggetti ansiosi, l’equilibrio di tutto il sistema familiare può essere influenzato negativamente da specifici processi comunicativi di natura principalmente ansiosa che, stabilendosi nel tempo, possono cristallizzarsi in modalità di funzionamento rigide e poco funzionali a tutti i componenti del gruppo familiare. Un intervento di tipo sistemico per la cura dell’ansia può, in questi casi, rendere manifesti questi processi ed innescare la realizzazione di nuovi equilibri che consentano, sia all’intero gruppo sia ai singoli membri, di migliorare le capacità di adattamento ed affrontare con maggiore flessibilità gli eventi della vita.

Lo Stress

In molti soggetti, l’ansia viene vissuta più come una caratteristica del proprio modo di essere piuttosto che come una patologia. Solo quando, l’ansia supera quel limite oltre il quale le condizioni generali di vita divengono invalidanti, diviene necessaria la richiesta di aiuto. Una persona stressata, è una persona caratterizzata da molte crisi ansiose, l’ansia si può, quindi, definire come un sintomo dello stress. Si parla molto di questo argomento, tutti lo conoscono come un senso di tensione, preoccupazione e malessere diffuso, ma si tratta di un concetto assai più vasto.

La letteratura documenta che lo stress è implicato, mediante diversi meccanismi fisio-patologici e psico-relazionali, nella patogenesi di numerosissime disfunzioni e patologie acute e croniche. Gli apparati maggiormente colpiti sono quello cardiovascolare, gastrointestinale, neuropsichico, cutaneo, endocrino, metabolico e immunologico. Lo stress promuove anche la degenerazione neoplastica cellulare oltre ad avere conseguenze negative sulle relazioni familiari e sociali.

Il concetto di stress è nato centinaia di anni fa, ma la psicologia ha iniziato ad usarlo per la prima volta nel 1932 da Cannon come sinonimo di stimolo nocivo. Successivamente Selye (1936) concettualizza lo stress come un insieme di reazioni difensive di natura fisiologica e psicologica attuate per far fronte ad una minaccia o ad una sfida. Selye fu il primo ad aver riconosciuto che lo stress non è una condizione necessariamente patologica e negativa, ma una reazione in primo luogo adattativa, in quanto finalizzata a ristabilire o a mantenere l’equilibrio omeostatico. Tuttavia in determinate condizioni, le sollecitazioni che generano stress possono divenire eccessive fino al punto di non essere più sopportabili dalla persona, con conseguenze negative anche assai gravi per la salute dell’individuo. Pertanto, se da un lato non è possibile evitare lo stress, è però anche indispensabile cercare di fare in modo che le condizioni esterne non presentino fattori stressanti importanti.

Lo stress perciò si manifesta quando l’organismo deve rispondere a tali stimoli esterni. Questa risposta consiste in un’attivazione di sistemi biologici che permettono di affrontare e risolvere la situazione in modo tale da evitare possibili conseguenze negative e permettere l’adattamento nel caso in cui non sia possibile risolvere la situazione stressante. Distinguiamo pertanto uno stress positivo chiamato eustress, che ci rende capaci di adattarci positivamente alle situazioni, e uno stress negativo, chiamato distress quando la situazione stressante richiede uno sforzo di adattamento superiore alle nostre possibilità instaurando così un logorio progressivo che porta al deterioramento delle nostre difese psicofisiche.

Già nel 1984, gli studiosi Lazarus e Folkman intervennero nell’argomento introducendo il termine di stress psicologico come la condizione derivante dall’interazione di variabili ambientali e individuali, che vengono mediate da variabili di tipo cognitivo. Lo stress viene, quindi, concettualizzato come qualcosa di dinamico, a carattere relazionale. Con tale concetto si sottolinea la componente soggettiva dell’evento stressante, ovvero che l’elemento fondamentale che determina l’entità della reazione emozionale-fisiologica è la valutazione cognitiva che l’individuo compie del suddetto evento stressante. In altre parole, nessun evento esistenziale significativo può essere considerato aprioristicamente patogenetico e, allo stesso tempo, ogni evento suscettibile di produrre una reazione emozionale potrebbe essere definito come avvenimento stressante. Quindi gli eventi sono stressanti nella misura in cui sono percepiti come stressanti, per cui uno stimolo produrrà o meno una reazione distress a seconda di come viene interpretato e valutato. Tuttavia la portata stressogena di un evento è determinata, oltre che dalla valutazione cognitiva dello stimolo compiuta dall’individuo, anche dalle caratteristiche oggettive dello stimolo, ovvero dalla qualità dell’evento e dalla sua quantità.

La sindrome generale di adattamento

Lo stress può essere visto come una reazione da parte del nostro corpo a un cambiamento: ogni giorno subiamo dello stress, ma per fortuna la maggior parte di questo è positivo e ci serve per migliorare la nostra esistenza e la nostra condizione sia fisica che mentale.

Quando però lo stress diventa troppo forte e perdura per troppo tempo può diventare causa di moltissimi problemi sia a livello mentale, sia a livello fisiologico del nostro corpo.

Le ricerche di Selye e di altri scienziati hanno chiarito la complessa fisiologia delle tre fasi della sindrome generale di adattamento.

Gli stimoli esterni a cui siamo esposti quotidianamente sono molteplici, ed in base ad essi il nostro organismo risponderà di conseguenza. In particolare possiamo distinguere:

– stress acuto: quando gli eventi stressanti si presentano in modo acuto e la risposta dell’organismo si esaurisce nel giro di pochi minuti o di ore;

– stress cronico: quando gli eventi stressanti si protraggono per giorni, settimane, mesi e la risposta dell’organismo si protrae nel tempo.

Quando parliamo di stress cronico parliamo di problemi che possono risultare molto seri per la salute della persone ed è giusto sapere quali meccanismi vengano innescati quando ci troviamo di fronte ad uno stressor. Selye distinse 3 fasi della sindrome generale di adattamento:

– Fase di allarme: In questa prima fase il corpo si impegna totalmente a richiamare tutte le forze e le energie per far fronte allo stressor nel migliore dei modi. La principale reazione interna è la produzione di adrenalina (catecolamine) con conseguente aumento del battito cardiaco: il corpo si prepara alla classica risposta “combatti o fuggi”, dominata dal nostro istinto di sopravvivenza.

– Resistenza o adattamento: Questo è il momento più importante, nel quale il nostro organismo si adegua alle nuove circostanza e cerca di resistere finché l’elemento stressante non scompare. In questa fase di resistenza abbiamo la sovrapproduzione di cortisolo che causa un indebolimento delle difese immunitarie, arrivando fino alla loro soppressione: questo inizialmente non causa problemi, ma nel lungo periodo con uno stress cronico rende molto più probabile l’attecchimento di molte malattie virali, batteriche e si pensa anche autoimmuni come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla.

– Esaurimento: questa è la fase conclusiva dello stress che assicura al corpo il riposo necessario per rimettersi completamente; in genere comincia quando l’organismo percepisce il pericolo come finito o quando le energie cominciano a venir meno.

Quando la fase di resistenza termina, si possono presentare due casi:

– le energie non sono esaurite del tutto e la persona avverte la fase di esaurimento come un torpore benefico rilassante, con una sensibile sensazione di debolezza e lassità (come dopo una competizione o un rapporto sessuale)

– la fase di resistenza è durata troppo e l’esaurimento è dovuto alla completa mancanza di energie, con periodi di recupero lunghi e debilitanti (anche depressivi)

Biochimicamente parlando abbiamo un calo repentino degli ormoni surrenalici (adrenalina, noradrenalina e cortisolo) e la rapida diminuzione delle riserve energetiche. In sostanza ci troviamo davanti a un’azione depressiva contraria a quella da resistenza che tenderà a riportare il corpo nella condizione precedente allo stress e quindi in equilibrio. Importante ricordare che molte volte quando il soggetto diventa stress-dipendente, arrivando a vivere fasi di resistenza prolungatissime, può sentire la necessità impellente di utilizzare sedativi, alcool, fumo e altri mezzi per passare artificialmente alla fase di esaurimento e permettere al proprio corpo di riposarsi.

Stress lavorativo

Per quanto riguarda lo stress lavorativo, in Italia sono stati fatti passi avanti sul riconoscimento delle problematiche connesse a questo ambito. Sono state riconosciute dal Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 le patologie da fattori psico-sociali associate a stress e gli effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro. Inoltre il D.Lgs. n. 81/2008 ha sancito la regolamentazione della sicurezza sul lavoro includendo anche quella relativa allo stress lavoro-correlato.

Lo stress sul lavoro può colpire chiunque a qualsiasi livello e di qualsiasi mansione, tuttavia per poter individuare chi ne è interessato è necessario tener conto delle diverse caratteristiche dei lavoratori. Inoltre non tutte le manifestazioni di stress sono imputabili al solo ambito lavorativo, bensì possono essere state portate da problematiche esterne.

Come è stato detto in precedenza, lo stress è legato alla patogenesi di numerosissime disfunzioni e patologie, influendo quindi sulla salute del lavoratore e provocando, da parte sua, assenteismo, problemi di condotta, violenza di natura psicologica, riduzione della produttività, errori e infortuni, aumento dei costi d’indennizzo o delle spese mediche ecc. Tutto questo rende evidente come il problema dello stress lavoro correlato sia importante non solo per la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, ma anche per la tutela dell’azienda.

Lo stress lavorativo è dato dall’insieme di vari fattori quali le condizioni lavorative (ambiente, orari, responsabilità ecc.) e le caratteristiche psico-fisiche (personalità, salute, motivazione ecc.) e socio-demografiche (condizioni economiche, situazione familiare ecc.) del lavoratore. Quando l’interazione tra questi fattori è squilibrata, si genera la cosiddetta condizione di “strain” che può manifestarsi in diversi modi variamente associati tra loro cioè con sintomi e segni fisici, mentali, emozionali e comportamentali.

Quindi il soggetto potrebbe ritrovarsi a soffrire di condizioni quali mal di testa, stanchezza, senso di tristezza, abuso di alcol, conflitti familiare ecc. Si può dire che sotto al concetto di rischio stress lavoro-correlato facciano parte una serie di elementi di natura soggettiva, ovvero relativi a come il soggetto interpreta e reagisce alle situazioni, ma anche di elementi oggettivi relativi cioè alla mansione specifica che il lavoratore svolge ed infine elementi relativi al clima aziendale.

L’analisi del rischio si basa sulla rilevazione dei diversi elementi e indicatori in grado di fornire informazioni utili sui diversi aspetti del problema. È importante perciò un’attenta analisi delle condizioni di lavoro, per la quale si possono utilizzare tecniche di job analysis e check list basate su modelli osservazionali e su riscontri oggettivi (ad es. organigramma e funzionigramma, orari, carichi di lavoro, procedure operative, condizioni ambientali, contesto esterno, gestione del personale, ecc.). E altrettanto importante rilevare la percezione soggettiva dei lavoratori, mediante interviste strutturate o semistrutturate e compilazione di questionari.

Le tipologie di problemi stress correlati sono fondamentalmente 3: lo stress strain, il burnout e il mobbing.

Stress Strain

Lo stress strain è caratterizzato dal fatto che il soggetto non riesce più a svolgere la propria attività lavorativa ed ha difficoltà a svolgere gli impegni quotidiani. Il soggetto è consapevole che la situazione potrebbe sfuggire dal proprio controllo, ed è proprio questa sua consapevolezza ad aumentare il disagio che aggrava ulteriormente la sua situazione personale negli ambiti lavorativi e familiari dai quali tende ad isolarsi.

Burnout

Il termine burnout si traduce letteralmente “bruciarsi”, inteso come “esaurito”. La sindrome da burnout si riferisce infatti ad una condizione di esaurimento emotivo causato dallo stress e dovuto alle condizioni lavorative ed altri aspetti della vita. Si tratta di una tipologia specifica di disagio psicofisico che colpisce in misura prevalente coloro che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto ma anche coloro che pur avendo obiettivi lavorativi diversi dall’assistenza, entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza, in particolare coloro che operano in ambiti sociali e sanitari come medici, psicologi, assistenti sociali, esperti di orientamento al lavoro, fisioterapeuti, operatori dell’assistenza sociale e sanitaria, infermieri e operatori del volontariato. Nella letteratura sono stati descritti 3 gruppi di sintomi quali psichici (esaurimento emotivo, Collasso della motivazione, caduta dell’autostima ecc.), comportamentali (progressivo ritiro dalla realtà lavorativa, difficoltà a scherzare sul lavoro, perdita dell’autocontrollo ecc.) e fisici (disfunzioni gastrointestinali, insonnia, disturbi dell’appetito ecc.). Chi vive questa condizione manifesta disaffezione al proprio lavoro, delusione, intolleranza, indifferenza, spesso associate anche a sensi di colpa.

Mobbing

Il mobbing consiste in violenze morali e psicologiche reiterate nel tempo, causa d’elevato potenziale stressogeno che limita la qualità della vita del soggetto mobbizzato. Le azioni avversative sono quindi costituite da attacchi alla persona e alla situazione di lavoro, cioè alla professionalità e allo sviluppo di carriera. Gli attacchi alla persona, che diviene la vittima, consistono in comportamenti di esclusione, isolamento, emarginazione o anche offese, minacce di violenza, ridicolizzazione, istigazioni contro la persona da parte di altri ecc. Gli attacchi alla situazione di lavoro sono rappresentati invece da, dequalificazione, assegnazione di attività incompatibili con il background professionale o culturale del dipendente, critiche continue, riduzione dei compiti e delle responsabilità del lavoratore o anche sovraccarichi di lavoro con scadenze impossibili da rispettare, trasferimenti ecc. Il mobbing, soprattutto se vissuto a lungo, comporta in moltissimi casi alterazioni della qualità della vita. La vittima tende a ritirarsi dal proprio ambiente di vita, diminuendo i propri interessi perché prova imbarazzo e vergogna della situazione che vive. Questo comportamento è indice del disagio psicofisico della persona che può sfociare, in alcuni casi, in una condizione clinica con conseguente danno alla salute. Il medico del lavoro dovrà pertanto raccogliere nel migliore dei modi i dati anamnestici del paziente e tramite il colloquio comprendere quale sia l’entità del problema. Il medico competente in materia di lavoro attuerà una serie di passaggi all’interno dell’azienda e di contatto con le figure di riferimento al suo interno al fine di ridurre lo stress del lavoratore migliorandone così le condizioni di salute, che limiteranno così anche i costi aziendali da assenteismo ed infortuni stress correlati.