Bullismo e baby gang

Adolescenza, Genitorialità, Scuola

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Bullismo e baby gang: strategie di prevenzione nelle scuole.

Si manifestano nella scuola un numero crescente di comportamenti di aggressione con diverse modalità di espressione della violenza e differenti livelli di consapevolezza del fenomeno. Fenomeni preoccupanti, che investono i giovani nelle loro dinamiche personali e nella loro relazione con i compagni e con gli adulti docenti/genitori. Le cronache giudiziarie inducono a temere l’estendersi di una violenza più o meno “strisciante” nei confronti dei compagni e anche dei docenti nell’ambiente scolastico, fino ad arrivare a veri e propri casi di devianza delinquenziale.

Il termine “bullismo”, oggi largamente impiegato per definire i vari comportamenti di sopraffazione, soprattutto nell’ambito giovanile e adolescenziale, deriva da quello anglosassone bulling e sta ad indicare una specifica modalità di relazione tra due persone: “un soggetto più forte che si avvale della propria superiorità fisica per danneggiare un soggetto più debole”.
Il bullismo, quindi, indica un fenomeno complesso che include non solo il comportamento del persecutore, ma anche quello del perseguitato.

Le caratteristiche del bullismo possono essere così definite: il bullo prova soddisfazione nel far soffrire, fisicamente e psicologicamente, il suo bersaglio umano, anche se questo mostra chiaramente il suo profondo disagio o addirittura dolore fisico e interiore; il comportamento del bullo si protrae nel tempo e anche per questa ragione induce la sua vittima a vivere l’ambiente, spesso quello scolastico, come un luogo insicuro ed ostile. In genere il persecutore utilizza la sua maggiore età o la sua prestanza fisica come arma per farsi temere e, quindi, per rendere la vittima docile al comando; la vittima è un soggetto ipersensibile e si percepisce come vulnerabile ed impotente di fronte al suo persecutore, subendone passivamente e progressivamente le angherie più efferate; la vittima ha paura, inoltre, di raccontare quello che subisce perché teme ritorsioni e teme di non essere creduto; scivola così giorno dopo giorno nel buio della totale disistima verso se stesso, incapace di tagliare i lacci psicologici della sottomissione che ha ormai interiorizzato.

Non è sempre facile, però, riconoscere il bullismo. Se un compagno di classe attacca fisicamente e ripetutamente nel tempo la vittima o la insulta pesantemente e reiteratamente tanto da emarginarla, non possiamo certo credere che si tratti della normale conflittualità tra coetanei. In altri casi, invece, il confine è meno palese: il bullo, per costruire il suo distruttivo passatempo, può utilizzare strategie meno teatrali, ma ugualmente efficaci sottraendo o rovinando, per esempio, gli oggetti del perseguitato, diffondendo pettegolezzi o storie offensive nel suo conto con il preciso scopo di emarginarlo dal gruppo.

Le scuole elementari e le medie sono il regno più fecondo per questo fenomeno. Dalle ricerche effettuate si evince che il numero di bambini italiani coinvolti dal fenomeno è doppio rispetto ai loro coetanei europei. Se, infatti, si riscontra il 6% di bullismo in Finlandia, il 15% in Norvegia, il 12,5% in Giappone, il 20% in Canada, l’1,8% in Irlanda e il 15% in Spagna, nel nostro Paese la percentuale sale vertiginosamente: il 41% dei casi nelle scuole elementari, il 26% in quelle medie; in entrambi i contesti scolastici i maschi sono in gran parte responsabili del bullismo ai danno delle femmine (più del 60%), mentre la maggioranza dei maschi è stata perseguitata principalmente da coetanei dello stesso sesso (80%). In alcuni specifici contesti socio-culturali e le percentuali aumentano notevolmente. Nelle scuole elementari il 57,2% delle prepotenze fisiche e verbali avviene in classe o nei cortili dedicati alla ricreazione, nelle medie la percentuale si abbassa al 51,9%.

Il bullismo può essere messo in atto da un singolo individuo o da un gruppo (baby gang), e anche il bersaglio può essere un singolo individuo o un gruppo.

In Italia il problema dei gruppi adolescenti devianti è oggi particolarmente diffuso: basti pensare che nel 2000, secondo i dati dell’Osservatorio del mondo giovanile – Città di Torino, ben il 68,2% dei reati compiuti da minori è stato commesso insieme ad altri ragazzi. I reati attuati da gruppi di minorenni sono soprattutto il furto e il vandalismo, mentre quelli compiuti da minorenni in concorso con maggiorenni sono decisamente più gravi: rapina e spaccio di stupefacenti.
Abbastanza frequenti sono anche le denunce per reati contro l’ordine pubblico, commessi da gruppi di ragazzi. Anche i mass media parlano sempre più di baby gang quando riportano episodi di furti ed aggressioni attutati da gruppetti di adolescenti a danno dei loro coetanei.

Se si analizzano le caratteristiche di questi gruppi giovanili si scopre facilmente che, in realtà, non si tratta di bande. Infatti sono privi delle caratteristiche tipiche di una gang, come ad esempio una struttura gerarchica definita, regole di condotta, una buona coesione tra i membri ed il controllo del territorio. Quindi, anche se tra i giovani italiani la devianza del gruppo è molto frequente, non si può parlare, però, di vere e proprie gangs. Così come sono presenti in altri paesi come negli Stati Uniti. Il bullismo o il riunirsi di adolescenti in baby gang è, pertanto, la risultante di un insieme di azioni che spesso sono persistenti e mirano deliberatamente a fare del male e/o a danneggiare che ne rimane vittima.

Alcune azioni offensive avvengono attraverso l’uso delle parole, per esempio minacciando od ingiuriando; altre possono essere commesse ricorrendo alla forza o al contatto fisico: schiaffi, pugni, calci o spinte. In altri casi le azioni offensive possono essere condotte beffeggiando pesantemente qualcuno, escludendolo intenzionalmente dal proprio gruppo.

Per poter parlare di bullismo, o di baby gang, è necessario che vi sia un’asimmetria nella relazione.

Il bullismo può essere:

-diretto, quando si manifesta con attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima;
-indiretto, quando si manifesta come una forma di isolamento sociale e una intenzionale esclusione del gruppo.

Gli atti di bullismo si manifestano con maggiore frequenza all’interno della scuola. Le sopraffazioni avvengono tra l’indifferenza dei coetanei e degli insegnanti, come se le percosse, gli insulti, i furti e le minacce fossero una normale componente del clima scolastico e come se la violenza fosse motivo di compiacimento.

Bullismo a scuola significa, quindi, colpi proibiti, taglieggiamenti, offese pesanti, soprusi individuali e raid di gruppo. Oltre a ciò è frequente l’isolamento fisico, la crudeltà psicologica.

Molte prepotenze sono individuali, mentre altre fanno parte di rituali di gruppo ma in ogni caso sottili legami si creano tra persecutori e vittime.

La personalità del “bullo”

La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente l’aggressività, rivolta verso i coetanei, ma anche verso i genitori e gli insegnanti.

I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o presunta, arrabbiandosi facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione. Manifestano, inoltre, grosse difficoltà nel rispettare le regole. Numerosi studi hanno evidenziato i fattori che sembrano essere alla base del comportamento aggressivo, quali:
il temperamento del bambino; la mancanza di calore e di coinvolgimento da parte delle persone che si prendono cura del bambino in tenera età; l’eccessiva permissività e tolleranza verso l’aggressività manifestata sin dalla più tenera età; il modello genitoriale all’interno della famiglia nella gestione del potere; l’uso eccessivo nella famiglia di punizioni fisiche come strumento per far rispettare le regole.

I bulli, per questo motivo, sviluppano un atteggiamento verso l’utilizzo di comportamenti violenti per raggiungere i propri scopi e mostrano una sovrastima di se stessi.

La personalità della vittima

Le vittime sono spesso ansiose ed insicure, hanno una scarsa autostima ed un’opinione negativa di sé e della propria situazione. Infatti manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di farsi male, sono incapaci nelle attività di gioco o sportive, sono abitualmente non aggressivi e non prendono in giro i compagni, ma hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei.

Le vittime sono caratterizzate da un modello reattivo ansioso o sottomesso, associato ad una debolezza fisica, soprattutto se maschi, perché sembrano non possedere le abilità per affrontare la situazione o, nel caso in cui le possiedano, le utilizzano in maniera inefficace.

Le vittime possono essere passive o sottomesse, segnalano agli altri l’insicurezza, l’incapacità, l’impossibilità o la difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti; esse possono presentare una combinazione di modalità di reazioni ansiose che provocano una modalità combinata di risposte a loro volta aggressive.

Il modello del persecutore e quello della vittima rappresentano due modalità inadeguate, apprese dall’ambiente, di rapportarsi con gli altri.

Entrambi determinano effetti apparentemente adattivi nel breve periodo e per questo si rinforzano, ma a lungo termine producono disagio a se stessi e all’ambiente che li circonda. È importante intervenire precocemente sui giovani che presentano tali comportamenti, in quanto su queste basi si possono instaurare nel tempo veri e propri disturbi psicologici.

Il modello reattivo-ansioso (tipico della vittima) conduce ad evitare le situazioni che si considerino potenzialmente pericolose. Questo può creare un terreno fertile sul quale si possono sviluppare disturbi come fobie, depressioni, ecc.

Il modello reattivo-aggressivo (tipico del bullo) può creare una base sulla quale possono innestarsi disturbi quali atteggiamenti di devianza, comportamenti delinquenziali e comportamenti di dipendenza da alcool, droga, ecc.

Anche laddove non si manifestano vere e proprie patologie, i giovani che utilizzano modelli di comportamento reattivi inadeguati strutturano delle personalità che non sono in grado di adeguarsi in maniera coerente e proficua alle richieste dell’ambiente. Una personalità aggressiva svilupperà una modalità attraverso la quale cercherà di imporsi sempre sugli altri, vivendo le relazioni in una ricerca costante e crescente di conflittualità.

Queste particolari situazioni, se vissute per lungo tempo, possono portare i giovani a rimanere isolati dagli altri a causa dei loro comportamenti inadeguati, siano essi vittime o bulli.

In questa prospettiva è importante agire in maniera sollecita e adeguata nell’ambiente scolastico, cercando di far emergere i problemi che sempre più frequentemente portano i giovani a vivere queste situazioni di esclusione e isolamento; o, di riflesso, per paura, ad unirsi al gruppo dei bulli, costituendo, a volte anche senza rendersene conto, piccole gang giovanili.

L’intervento deve coinvolgere non solo i giovani, ma anche e soprattutto gli insegnanti e i genitori, fornendo loro adeguati strumenti per poter far emergere il fenomeno, saperlo definire, contenere, superare, condividendolo.

Uno degli strumenti a cui si è dato corso è stato elaborato dagli autori per portare nelle scuole un Quaderno di prevenzione su bullismo e baby gang. Il Quaderno di AXI (Magi Editore) e permette nel suo utilizzo di comprendere il fenomeno e dà informazioni semplici ma esaustive sulle personalità e i comportamenti dell’aggressore “bullo”, la vittima e le dinamiche del contesto scolastico. Il Quaderno si avvale di vignette che illustrano e spiegano i diversi concetti e le dinamiche del bullismo. Per esempio si spiega cos’è il bullismo, si fanno conoscere le sue manifestazioni, si indica che cosa fare per porre fine al circolo vizioso. Il libro è stato concepito per essere utilizzato, oltre che direttamente con gli alunni, anche con gli insegnanti e i genitori.

Conoscendo il problema si può, quindi, attivare nelle scuole una programmazione contro le prepotenze e promuovere interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti.

Un intervento preventivo è rivolto a tutti gli alunni e non direttamente ai “bulli” e alle loro vittime. Per un cambiamento stabile e duraturo, è più efficace agire su tutta la comunità scolastica per promuovere nuove regole di convivenza, piuttosto che agire sul disturbo ormai conclamato.

Una delle principali cause delle frustrazioni alle origini dell’aggressione e degli atteggiamenti ostili nella scuola è il concetto della disuguaglianza che resta ancora alta e motivo di emarginazione. Questa disuguaglianza vissuta come ingiustizia costituisce una delle cause prioritarie delle frustrazioni scolastiche. Disuguaglianza che emerge in maniera molto evidente, non solo da un punto di vista estetico-economico (il ritorno a un grembiule uguale per tutti o a una divisa scolastica così come d’uso nei paesi anglosassoni risolverebbe tutte queste occasioni di tensione e di esclusione), ma è anche data dalla sempre maggior presenza di figli di stranieri e di emigrati nel nostro contesto sociale. Inoltre, a volte, anche i comportamenti degli insegnanti possono adottare inconsapevolmente modalità educative ‘aggressive’ che provocano danni psicologici o sofferenze negli studenti.

È importante sottolineare questo punto perché, come indicato in letteratura, è inefficace l’intervento psicologico individuale ma risulta necessario un interventi mirato sul contesto. Infatti il “bullo” non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, ma queste sono un problema soltanto per la vittima, gli insegnanti e il contesto in cui egli agisce. L’intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del “bullismo”: anche se quella vittima cesserà di essere tale il bullo ne cercherà presto un’altra nel medesimo contesto. Per questi ed altri motivi è necessario ed urgente, visto l’ampliarsi del fenomeno, attuare un programma di intervento di carattere preventivo e diretto al contesto “gruppo classe/scuola/genitori” ed è per questo che trova significato un intervento strutturato.

L’intervento deve essere strutturato per le seguenti finalità:

1. Acquisire consapevolezza

E’ possibile trattare e capire alcuni concetti strettamente legati alla comprensione dei fenomeni di violenza e bullismo (potere, oppressione, pregiudizio). Le storie possono fornire un importante contributo per capire le diverse forme di abuso di potere. In questi casi lo stimolo dato dal racconto diventa l’occasione per sollecitare una prima riflessione sul problema e per riportare poi la discussione a livello personale. Lo scopo è quello di favorire un’acquisizione di consapevolezza del problema, delle motivazioni che ne sono alla base e delle conseguenze che può generare.

2. Responsabilizzare i ragazzi

Gli alunni, elaborando le loro soluzioni, hanno modo di approfondire la natura del problema e vengono rafforzati i valori e gli atteggiamenti contro gli abusi e le prepotenze, attivando le capacità di analisi e di risoluzione da parte dei diretti interessati per realizzare interventi specifici contro il fenomeno; con il coinvolgimento attivo dei ragazzi nella risoluzione del problema, imparando a conoscere i persecutori e le vittime, i luoghi e i tempi.

3. Favorire l’interiorizzazione delle regole di buona convivenza scolastica

L’intervento permette un lavoro di coinvolgimento e sensibilizzazione di tutte le componenti della scuola: collegio docenti, insegnanti, genitori e alunni, favorendo l’attenzione alle dinamiche relazionali interne alla scuola e, conseguentemente, ad una buona convivenza scolastica mantenendo alto un senso condiviso di responsabilità.

4. Costruire solidarietà

Si fornisce supporto tra coetanei poiché dà una risposta all’esigenza di combattere la violenza e la sopraffazione e promuovere il rispetto e l’aiuto reciproco. Si andrà così ad acquisire la competenza dell’ascolto e del sostegno alla crescita e alla maturazione dei ragazzi. Questa competenza risulta un mezzo efficace per favorire la consapevolezza di sé, l’autostima, lo sviluppo della capacità di aiuto e di comprensione verso gli altri. Un’occasione di crescita per il gruppo classe stesso poiché, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, può diventare risorsa e sostegno per ciascun membro della scuola.

È inutile sottolineare che per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino, come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione, affinché l’esempio possa essere imitato, acquisito e diventare quindi uno stile di vita per i ragazzi.

Questa consapevolezza, responsabilità e solidarietà deve servire, inoltre, a far capire come la scuola rappresenti uno dei migliori contesti d’intervento per quello che riguarda la possibile educazione e sviluppo della persona per una migliore società futura.

fonte: “Link. Rivista scientifica di psicologia”

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