J, 02, 2025 | Coppia
Il D.A.R.V.O. è una strategia manipolatoria identificata dalla psicologa Jennifer Freyd, utilizzata da abusatori per eludere la responsabilità dei propri comportamenti. L’acronimo sta per Deny (Negare), Attack (Attaccare), Reverse Victim and Offender (Invertire i ruoli di vittima e aggressore). Il manipolatore nega le accuse, scredita la vittima e si dipinge come la vera vittima della situazione. Questo meccanismo è spesso usato in contesti di abuso psicologico, bullismo, violenza domestica e difesa istituzionale. Il suo scopo è confondere la vittima, isolarla e impedirle di ottenere giustizia.
Cosa si intende per D.A.R.V.O?
Il termine D.A.R.V.O. è un acronimo coniato dalla psicologa Jennifer Freyd per descrivere una strategia manipolatoria spesso usata da abusatori e colpevoli di comportamenti dannosi per evitare di essere ritenuti responsabili delle loro azioni Si tratta di una sequenza comportamentale in cui il soggetto accusato nega il proprio comportamento attacca la credibilità della vittima e infine ribalta i ruoli facendo passare sé stesso per vittima e la vittima per aggressore Questo meccanismo è comunemente riscontrato nei contesti di abuso psicologico violenza domestica bullismo e persino nelle istituzioni che cercano di proteggere la propria reputazione piuttosto che le vittime
Quali sono le fasi del D.A.R.V.O.
La prima fase della strategia è la negazione (Deny) in cui l’aggressore rifiuta categoricamente di aver compiuto l’azione dannosa minimizzando il problema o addirittura accusando la vittima di inventare tutto Questo serve a confondere la vittima e a creare un clima di incertezza in cui il dubbio diventa un’arma potente La negazione può essere accompagnata da frasi come “Non è mai successo” “Ti stai inventando tutto” o “Esageri sempre” rendendo la vittima insicura riguardo alla propria percezione della realtà
La seconda fase è l’attacco (Attack) in cui l’abusatore scredita la vittima cercando di metterla in cattiva luce agli occhi degli altri o svalutando la sua credibilità L’obiettivo è far sembrare la vittima poco affidabile o instabile affermando che è troppo sensibile che ha sempre bisogno di attenzioni o che sta cercando di manipolare la situazione per il proprio vantaggio Questo attacco può avvenire pubblicamente o privatamente e spesso porta la vittima a sentirsi isolata e senza supporto
Infine la fase più subdola è il rovesciamento dei ruoli di vittima e aggressore (Reverse Victim and Offender) in cui il colpevole si dipinge come la vera vittima della situazione affermando di essere ingiustamente perseguitato dalla persona che ha subito l’abuso In questa fase frasi come “Ora sono io quello che soffre” “Sei tu che mi stai attaccando ingiustamente” o “Mi sento perseguitato” sono comuni L’abusatore cerca di generare empatia nei confronti di chi lo circonda facendosi passare per vittima di un’ingiustizia e ottenendo spesso il sostegno di amici colleghi o autorità
Cosa comporta essere vittima del D.A.R.V.O.
Questa strategia è estremamente dannosa perché porta la vera vittima a sentirsi colpevole confusa e incapace di difendersi Le conseguenze psicologiche possono includere ansia depressione senso di isolamento e incapacità di far valere i propri diritti poiché l’ambiente circostante potrebbe aver già interiorizzato la versione distorta della realtà fornita dall’aggressore Questo meccanismo è molto diffuso nei contesti di violenza domestica nei casi di molestie sul lavoro nei tribunali quando gli abusatori cercano di manipolare la narrazione dei fatti e persino nelle scuole e istituzioni che tentano di proteggere il proprio status negando episodi di bullismo o discriminazione
Quali sono le strategie da utilizzare per difendersi dal D.A.R.V.O.
Per difendersi dalla strategia del D.A.R.V.O. è fondamentale riconoscere il modello e documentare accuratamente ogni comportamento abusante evitando di cadere nelle provocazioni dell’aggressore e cercando supporto da persone esterne che possano confermare la realtà dei fatti È importante anche diffondere consapevolezza su questa dinamica affinché le vittime non si sentano sole e possano ottenere il supporto di cui hanno bisogno per rompere il ciclo della manipolazione e della distorsione della realtà
Il D.A.R.V.O. è una strategia di manipolazione estremamente pericolosa che permette agli abusatori di sfuggire alla responsabilità invertendo i ruoli tra vittima e aggressore La consapevolezza e l’educazione su questo meccanismo sono strumenti essenziali per proteggere le vittime e impedire che queste dinamiche si perpetuino alimentando cicli di violenza e ingiustizia.
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J, 02, 2025 | Uncategorized
Un Nemico Invisibile
L’abuso psicologico sui minori è una forma di violenza silenziosa, insidiosa e spesso invisibile, che lascia cicatrici profonde nella mente e nell’anima dei bambini. A differenza degli abusi fisici o sessuali, che possono essere più evidenti e facilmente identificabili, la violenza emotiva si insinua lentamente nella vita della vittima, minando la sua autostima, la sua capacità di fidarsi degli altri e la sua percezione del mondo. Questo articolo vuole mettere in luce le diverse forme di abuso psicologico, le conseguenze a lungo termine e l’importanza di un intervento tempestivo per proteggere i bambini da una sofferenza che può accompagnarli per tutta la vita
Le varie modalità dell’abuso psicologico
L’abuso psicologico può manifestarsi attraverso diverse modalità, dalla manipolazione affettiva alle umiliazioni ripetute, dalla svalutazione costante ai ricatti emotivi, fino a forme più sottili come il gaslighting, in cui la vittima viene portata a dubitare della propria percezione della realtà. Spesso questo tipo di abuso avviene in famiglia, perpetrato da genitori che esercitano un controllo tossico, ma può verificarsi anche a scuola, nel contesto di relazioni con insegnanti o coetanei, oppure online attraverso il cyberbullismo. I bambini esposti a questo tipo di violenza possono sviluppare disturbi d’ansia, depressione, difficoltà relazionali e, nei casi più gravi, disturbi della personalità o tendenze autolesionistiche. Il loro sviluppo emotivo viene compromesso, e il rischio è che crescano con una visione distorta delle relazioni, tendendo a riprodurre schemi di abuso anche in età adulta
Strategie di intervento
A livello normativo, negli ultimi anni si è cercato di rafforzare le misure di protezione per i minori, sia a livello europeo che italiano, con convenzioni e leggi che mirano a riconoscere e contrastare tutte le forme di maltrattamento. Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga, perché il riconoscimento dell’abuso psicologico è reso complesso dalla sua natura subdola e dall’assenza di prove fisiche tangibili. Per questo motivo, diventa fondamentale sensibilizzare genitori, educatori e professionisti affinché siano in grado di individuare i segnali di disagio nei bambini e di intervenire in modo efficace. L’approccio più efficace è quello multidisciplinare, che coinvolga scuole, servizi sociali, tribunali per i minori e figure professionali come psicologi e pedagogisti per offrire un supporto adeguato alle vittime e aiutarle a ricostruire la propria identità.
In conclusione, l’abuso psicologico sui minori è un problema grave che non può essere ignorato. È necessario un cambiamento culturale che porti a una maggiore consapevolezza del fenomeno e a una risposta più incisiva da parte delle istituzioni. Solo attraverso l’informazione, la prevenzione e un’azione congiunta possiamo proteggere i bambini da questa forma di violenza invisibile, garantendo loro un ambiente sicuro e sano in cui crescere.
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Adolescenza e Regolazione Emotiva: La Sfida della Disregolazione
Depressione Infantile: Un Problema Silenzioso ma Cruciale
J, 01, 2025 | Età evolutiva
L’adolescenza è un periodo di trasformazioni profonde, in cui i cambiamenti fisici, emotivi e sociali possono creare vulnerabilità psicologiche. Tra le problematiche emergenti in questa fase troviamo la disregolazione emotiva, una condizione che può manifestarsi in associazione a disturbi come l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) e i DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare).
Che cos’è la disregolazione emotiva?
La disregolazione emotiva si riferisce alla difficoltà nel gestire, modulare e comprendere le emozioni. Può includere impulsi emotivi intensi, incapacità di calmarsi e scarsa consapevolezza degli stati emotivi propri o altrui. Questa condizione è spesso alla base di comportamenti disfunzionali, come gli episodi di iperattività o l’uso disadattivo dell’alimentazione per gestire emozioni difficili.
ADHD e disregolazione emotiva
Nei ragazzi con ADHD, la disregolazione emotiva può manifestarsi con reazioni di rabbia, frustrazione o impazienza sproporzionate rispetto al contesto. Questi giovani tendono a essere più impulsivi e possono avere difficoltà a gestire situazioni emotivamente intense. Le ricerche evidenziano come la scarsa capacità di autoregolazione nei ragazzi con ADHD derivi da disfunzioni neurologiche, in particolare nelle aree prefrontali del cervello responsabili del controllo delle emozioni.
Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e regolazione emotiva
La disregolazione emotiva gioca un ruolo centrale anche nei disturbi alimentari, come l’anoressia nervosa e la bulimia. Le emozioni negative, se non adeguatamente gestite, possono spingere gli adolescenti a utilizzare il controllo sull’alimentazione come una forma di coping disadattivo. Ad esempio, l’eccessivo esercizio fisico o le abbuffate possono rappresentare tentativi di regolare stati emotivi percepiti come travolgenti.
Un legame tra ADHD e DCA
Nonostante la comorbidità tra ADHD e DCA sia stata meno studiata rispetto ad altri disturbi, le evidenze suggeriscono che questi due disturbi condividano difficoltà comuni nella regolazione emotiva e tratti di impulsività. Ragazzi con ADHD che sviluppano disturbi alimentari spesso vivono un senso di fallimento e bassa autostima, trovando nell’alimentazione una via di fuga momentanea dalle emozioni difficili.
L’importanza dell’intervento precoce
La diagnosi tempestiva e l’approccio terapeutico mirato sono fondamentali per aiutare i giovani a gestire meglio le emozioni e prevenire comportamenti disadattivi. Interventi integrati, che includano supporto psicologico, educativo e familiare, possono fare la differenza nel migliorare il benessere emotivo e la qualità della vita.
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Malingering: La Sfida della Diagnosi tra Realtà e Simulazione
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J, 01, 2025 | Età evolutiva
Il termine Malingering si riferisce alla simulazione intenzionale di sintomi fisici o psicologici con l’obiettivo di ottenere benefici esterni, come vantaggi legali, economici o sociali. Questa pratica, documentata fin dall’antichità, rappresenta una sfida per la diagnosi clinica e psicologica, in particolare negli ambiti forense e medico-legale.
Un fenomeno complesso e multidimensionale
La simulazione può manifestarsi in diverse forme: dall’esagerazione di sintomi reali alla completa invenzione di una condizione patologica inesistente. È importante distinguere il Malingering da altri disturbi, come il disturbo fittizio, dove il paziente crea sintomi per ottenere il ruolo di “malato” senza alcun incentivo materiale. Il Malingering, invece, ha sempre uno scopo utilitaristico.
Gli strumenti della diagnosi
La diagnosi di Malingering si basa su una combinazione di colloqui clinici e test psicologici. Tra gli strumenti più utilizzati figurano:
- Symptom Validity Test (SVT): Valutano la veridicità dei sintomi riportati.
- Performance Validity Test (PVT): Analizzano la credibilità delle prestazioni cognitive.
- Inventari come il MMPI-2 e il SIMS: Identificano incongruenze nei profili psicologici e sintomatologici.
L’uso combinato di questi strumenti aumenta l’affidabilità della diagnosi, riducendo il rischio di falsi positivi o negativi.
Esempi pratici
Un caso emblematico è quello del Test of Memory Malingering (TOMM), utilizzato per rilevare deficit di memoria simulati. Un punteggio inferiore alla soglia critica suggerisce un comportamento non autentico, come evidenziato in pazienti che cercano indennizzi legali o esenzioni da responsabilità.
Sfide etiche e cliniche
Diagnosticare il Malingering comporta anche implicazioni etiche. È essenziale non basarsi su presupposti, ma su evidenze concrete, considerando la complessità del comportamento umano. Inoltre, è fondamentale non confondere atteggiamenti difensivi o disagio emotivo con simulazioni intenzionali.
Conclusioni
Il Malingering rappresenta una realtà complessa che richiede un approccio multidisciplinare. La diagnosi accurata è cruciale non solo per evitare abusi dei sistemi legali e sanitari, ma anche per garantire giustizia ed equità. Attraverso lo sviluppo di strumenti diagnostici sempre più raffinati e un’analisi attenta del contesto, i professionisti possono affrontare questa sfida con maggiore efficacia.
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J, 01, 2025 | Adolescenza, Età evolutiva
Fattori influenti, Sfide e Strategie Educative
Gli adolescenti si trovano in una fase di transizione dello sviluppo in cui i cambiamenti neurocognitivi, come l’immaturità del lobo frontale e l’iperattività del sistema limbico, aumentano la propensione a comportamenti impulsivi e alla ricerca di sensazioni forti. Questi aspetti neurobiologici si combinano con pressioni sociali e culturali, rendendo la percezione del rischio una dinamica fluida e influenzata dal contesto.
Ruolo delle fonti di informazione
Gli adolescenti tendono a privilegiare i coetanei come principale fonte di informazioni e modelli di comportamento. Questo accade perché il gruppo di pari rappresenta un riferimento importante per il senso di identità e appartenenza, ma può anche essere un fattore di rischio. La pressione sociale esercitata dai coetanei può spingere a minimizzare i pericoli associati a determinate azioni, come il consumo di sostanze, la guida spericolata o comportamenti sessuali non protetti. In parallelo, i media svolgono un ruolo significativo, veicolando messaggi ambivalenti. Da un lato, possono sensibilizzare su rischi specifici (ad esempio, attraverso campagne di prevenzione), ma dall’altro possono glorificare comportamenti pericolosi, soprattutto quando associati a status sociale, successo o popolarità.
Fattori familiari
L’ambiente familiare costituisce una delle variabili più importanti nella percezione del rischio. Le relazioni positive con genitori o figure adulte di riferimento offrono un contesto protettivo, favorendo un migliore riconoscimento e gestione del rischio. Tuttavia, conflitti familiari, assenza di dialogo o stili educativi troppo permissivi o eccessivamente autoritari possono aumentare la probabilità di decisioni impulsive o rischiose. Un ambiente di supporto emotivo aiuta gli adolescenti a sviluppare una maggiore sicurezza nelle loro capacità di analisi e a sentirsi sostenuti nelle scelte difficili.
Influenza dello sviluppo psicologico
L’adolescenza è caratterizzata dalla ricerca di indipendenza e dall’esplorazione di nuovi ruoli, che spesso si traducono in una sottovalutazione dei rischi. Questa fase è segnata da uno squilibrio tra il sistema limbico, che regola emozioni e ricompense, e la corteccia prefrontale, responsabile del controllo cognitivo. Di conseguenza, gli adolescenti possono essere inclini a scegliere comportamenti ad alto rischio, attratti dal beneficio immediato (ad esempio, il piacere, l’accettazione sociale) piuttosto che dalle conseguenze a lungo termine. La scarsa capacità di pianificazione e l’impulsività sono ulteriormente accentuate dalla mancanza di esperienza diretta con le situazioni rischiose.
Differenze di genere
Il documento evidenzia anche differenze di genere nella percezione del rischio. In generale, i ragazzi sono più inclini a sottovalutare i pericoli fisici e sociali, mentre le ragazze mostrano una maggiore sensibilità verso rischi emotivi o relazionali. Questa differenza è legata sia a fattori biologici sia all’influenza dei ruoli di genere nella società, che modellano aspettative e comportamenti.
Strategie educative e di prevenzione
Una delle conclusioni principali è che i programmi di educazione al rischio devono essere mirati e personalizzati, tenendo conto delle caratteristiche specifiche degli adolescenti. Gli interventi più efficaci sono quelli che promuovono il pensiero critico e le competenze decisionali, offrendo agli adolescenti strumenti concreti per valutare rischi e benefici in modo consapevole. Un aspetto chiave è anche il miglioramento delle competenze comunicative: insegnare agli adolescenti come esprimere i propri dubbi e come confrontarsi con figure adulte senza sentirsi giudicati o incompresi.
Inoltre, viene sottolineata l’importanza della collaborazione tra genitori, educatori e comunità. Gli adulti dovrebbero adottare un approccio empatico e non punitivo, creando un ambiente in cui gli adolescenti possano sentirsi liberi di parlare apertamente delle loro esperienze e preoccupazioni. A livello istituzionale, è necessario che scuole e organizzazioni giovanili sviluppino campagne di sensibilizzazione che utilizzino linguaggi e canali vicini al mondo degli adolescenti, come i social media, per veicolare messaggi preventivi.
La percezione del rischio negli adolescenti non può essere affrontata in modo unidimensionale, poiché è il risultato di interazioni complesse tra biologia, ambiente sociale e dinamiche psicologiche. Per migliorare la capacità degli adolescenti di prendere decisioni sicure e consapevoli, è essenziale un intervento sistemico che coinvolga famiglia, scuola, media e comunità, puntando su educazione, supporto e comunicazione efficace.
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